Paolo Ciolli è chef e scrittore di oltre una dozzina di libri (tra cui numerose agende e ricettari); una combinazione perfetta per divulgare la passione e la cultura per l’arte culinaria. Uno chef divulgatore, che ha tenuto lezioni alla Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa, ha organizzato corsi per ristoranti della Confesercenti e per gli istituti tecnici professionali, ed è spesso ospite in convegni e conferenze (tra queste, ricordiamo anche la sua partecipazione nel 2016 al I° Convegno della Gallina Livornese).
In quanto labronico doc, da tutti i suoi libri emerge una speciale passione per il pesce ma, in questo caso, devieremo dal mare (anche se non del tutto!) per andare invece a scoprire le sue migliori ricette con uova.
Tre ricette da tener presenti, e non solo singolarmente, ma anche per un pasto completo in cui l’uovo si fa protagonista assoluto:
Le tre ricette sono estratte dal compendio di cucina labronica pubblicato da Paolo Ciolli nel 2016: “Livorno la Ghiotta”.
Per ognuna delle tre ricette, Paolo Ciolli ha raccolto informazioni storiche sulle materie prime, sulle origini e sui personaggi che le hanno rese note.
Grazie dunque a testi di accompagnamento e a delle ricette così contestualizzate, possiamo dire che cucinare diventa un po’ viaggiare tra le identità e i territori della cittadina costiera toscana.
E proprio per conferire a queste ricette il massimo grado di “labronicità”, noi le abbiamo realizzate rigorosamente con uova di gallina livornese e il risultato è stato davvero eccezionale.
Livorno è la mia città, sono nato in un quartiere popolare e ho vissuto la mia infanzia giocando in quel borgo maestro di insegnamenti. Ho imparato ad apprezzare i sapori che si dipanavano giornalmente dalle case, diffondendo nell’aria quelle sinfonie di gustosità che ti facevano immaginare cosa le donne stessero preparando.
Pietanze semplici, ma affidate ad una maestria senza pari, che riusciva ad esaltare i pochi ingredienti a disposizione.
I ricordi struggenti dei ‘bordatini’, della ‘grandinina’, del ‘cavolo strasci’ato’, del cacciucco… erano un’identità che superava tutte le barriere.
Vi si rispecchia profondamente la semplicità un po’ ribelle, scansonata e anarcoide, che tuttavia riesce a esaltarsi con grande creatività ed ingegnosità. Potremmo parlare di una cucina importante, che annovera alcune delle sue ricette nei menù dei più famosi ristoranti del mondo, dando riconoscimento a una città che mi verrebbe voglia di soprannominare: ‘Ghiotta Livorno’.
Introduzione
Quel continuo e perenne movimento che è l’avvicinarsi dell’acqua agli scogli, quell’alternanza continua delle maree porta quello sciacquio giocoso e utile che fa brulicare di vita quella zona chiamata battigia.
Questa piccola striscia di territorio riccamente ossigenata dal movimento marino è densamente popolata da una serie di abitanti. La’, sulla sua superficie, nascono i datteri, quelli neri, che a differenza de loro cugini più nobili, chiamati ‘veri’ che, grazie al loro acido si insinuano e penetrano nelle rocce. Vengono chiamati con questo appellativo solo nel livornese e sentirai parlare impropriamente di datteri e non di cozze o mitili.
I datteri sono di norma allevati all’interno di acque quiete dove crescono velocemente per poi venir depurati in appositi stabilizzatori per eliminare eventuali pericoli d’infezione che potrebbero portare con sé. Essendo grandi filtri raccolgono tutto quello che trovano disciolto in mare. Fino agli anni settanta del novecento nel nostro avamporto, nello specchio d’acqua delimitato dal Molo Novo, c’era impiantata una ‘datteraia’ (allevamento di mitili).
Massicci pali infilati nel fondale, distanti tra loro una decina di metri, sorreggevano grosse funi lungo le quali si sviluppavano numerosissime famiglie di datteri, ovvero cozze. Accadde che in quel periodo un’epidemia di colera colpisse varie città del Mediterraneo e per questa causa si eliminassero molti allevamenti fra i quali quello di Livorno. A nulla valse la costruzione di uno stabulario per la loro depurazione che sorse nei pressi del nostro acquario Diacinto Cestoni.
Terminò la tradizione, vecchia di centinaia di anni, di allevare bivalvi, che aveva avuto il suo massimo splendore nel Settecento e nell’Ottocento con l’allevamento delle ostriche nei Fossi all’altezza di Piazza benedetto Brin, dove la famosa Casina delle Ostriche, nella sua secolare vita, aveva soddisfatto i palati più esigenti, arrivando perfino a benedire quelli medicei.
I datteri come tutti i frutti in genere esaltano la loro bontà se consumati crudi; i vari sistemi di cottura sono stratagemmi per cercare di imprigionare, senza pericolo, la loro delizia.
Ingredienti per 4 persone
Preparazione
Pulisci i datteri ed elimina la barbetta (il peduncolo) ed eventuali incrostazioni.
Con l’aiuto di un coltello elimina una delle valve e disponi la polpa nell’altra. E’ un’operazione semplice che comunque richiede un po’ di manualità e l’aiuto di un appropriato coltello a lama corta, flessibile e arrotondata nella punta.
Prepara in padella un filo d’olio e soffriggi la cipolla finemente tritata, aglio schiacciato, salvia e peperoncino. Appassita la cipolla, metti i pomodori ridotti a poltiglia e cuoci per qualche minuto.
Nel frattempo sbatti le uova con il parmigiano e il prezzemolo tritato.
Inserisci nella padella i datteri sgusciati, con il guscio rivolto all’esterno, di seguito le uova. Cuoci con coperchio per qualche minuto.
Rovescia tutto nel piatto di portata e porta in tavola come fosse una frittata.
Molto pane per un piatto colorato e saporito, che richiama i colori infuocati di un tramonto estivo.
Consiglio
Accompagna con un bianco giovane e fresco nei sapori.
Introduzione
Nella cucina livornese i carciofi sono stati sempre benvisti, sia grazie all’influenza della cucina ebraica, che ne faceva un culto, sia per la facilità di poterli reperire specialmente nelle zone di Antignano. Nel nostro territorio pedecollinare, insieme a magnifici vigneti e oliveti che declinavano fino quasi a lambire il mare e di conseguenza la città, c’erano molti terreni preposti alla coltivazione, dove grazie all’aria marina e al sottosuolo ricco di sorgenti minerarie la produzione della ‘cynara’ veniva realizzata in quantità ed era ricercata per il suo sapore deciso ma non troppo accentuato.
Il carciofo, pianta comune in tutto il Mediterraneo, era già conosciuto nell’antico Egitto e in seguito dai greci e dai romani probabilmente nella forma del cardo selvatico. Certamente trasformata apparve in Sicilia e di seguito in Toscana nel XV secolo. Grazie a Caterina dei Medici, sua grande estimatrice, fu diffusa e poi perfino trasportata in Francia unitamente alle importanti note della cucina toscana.
Ardenza, Antignano e Salviano erano per propensione e disegno urbano gli orti della città. Attraversati da numerosi corsi d’acqua, questi territori dediti all’agricoltura, arrivavano addirittura fino ai Monti Pisani. I carciofi, come del resto molta della produzione livornese, grazie al clima, alla particolare predisposizione delle sue terre e alle molte sorgenti spontanee, dava una produzione stagionale anticipata. Le cosiddette primizie livornesi erano molto apprezzate in tutta la Toscana, specialmente dalla famiglia medicea e Diacinto Cestoni ne spedì addirittura una buona quantità al suo amico, il famoso naturalista medico Francesco Redi. Ai giorni nostri, a causa degli arrembanti e caotici insediamenti civili, la produzione si è ridotta ad una nicchia di orti per un uso quasi personale.
I livornesi comunque ne hanno fatto un culto, forse perché dicono abbia proprietà afrodisiache, forse ne ha di terapeutiche (i più anziani ricorderanno la réclame di un amaro che suonava: “contro il logorio della vita moderna”), forse perché è molto duttile nella preparazione di molte pietanze.
Quando vai al mercato comprali vestiti da guerriero, con la corazza ben chiusa e impenetrabile e che abbiano le foglie esterne color verde nero senza alcuna ammaccatura; al loro interno non dovrà comparire quella antipatica peluria che nel caso dovrai rimuovere.
Il carciofo di Antignano, quasi dimenticato dalle nostre parti, divenne una delle identità gastronomiche europee, tanto che ancor oggi in alcuni importanti ristoranti parigini appaiono nella carta come Carciofi di Antignano.
Ingredienti per 4 persone
Preparazione
Pulisci i carciofi eliminando le foglie più dure e il gambo in modo che possano star seduti in una casseruola. Per quando puoi netta i gambi dalla parte esterna. Prepara un battuto con un paio di cipolline bianche, capperi, aglio schiacciato, acciughe, prezzemolo e peperoncino.
Amalgama il trito con un filo d’olio, il pane ammollato e ben strizzato e una parte dell’uovo sbattuto.
Disponi l’impasto all’interno dei carciofi che avrai avuto cura di allargare un po’ nella loro sommità.
Umetta i carciofi con il rimanente uovo e coprili con un leggero strato di pangrattato. Ponili nella casseruola con un filo d’olio e un battuto formato dai gambi avanzati e le rimanenti cipolline.
Durante la cottura aggiungi la nepitella.
Cuocili per qualche minuto dalla parte della testa e appena si sarà formata la crosticina rigirali fino a cottura definitiva bagnando con vino bianco.
Come si suol dire, devono rimanere ritti in padella. Regola sale e pepe. Dovranno apparire cotti ma non disfatti.
Consiglio
Per il vino fai un po’ come ti aggrada perché, con il gusto amarevole del carciofo, tutti i vini fan brutta figura, e comunque sia meglio rosato, fresco, carico di profumi, servito a 14°.
Introduzione
Ariel Toaff in ‘Mangiare alla Giudea’ ci racconta che fin dal Quattrocento il marzapane fosse un elemento nobile della pasticceria ebraica, un omaggio gastronomico tenuto in grande considerazione perfino dai personaggi importanti della città.
Comunque a Livorno per creare qualcosa di nuovo, diverso dalle solite torte di marzapane si pensò di impastare uova e mandorle, così da farne un dolce poi divenuto celebre con il nome di ‘Bocca di dama’. Sembra che nel 1661 un pasticcere ebreo di Livorno ne facesse omaggio a Ferdinando II dei Medici Granduca di Toscana in visita alla città il quale, visibilmente sbalordito dalla squisitezza della torta, esclamasse con entusiasmo: “Bocca di Dama? piuttosto Bocca di Gloria!”. La tradizione vuole che questo fosse il motivo per cui l’antica pasticceria ebraica di Ferruccio Prati, situata nella zona centrale dei ‘Quattro Canti’ portasse l’insegna “Bocca di Gloria”.
C’è da ricordare che a Livorno la pasticceria, panetteria e confetteria all’inizio dell’Ottocento annoverava una quindicina di negozi…
Ingredienti per un dolce
Preparazione
Trita finemente le mandorle, spolverale con un po’ di farina.
Ne frattempo in una ciotola sbatti i tuorli con una frusta insieme allo zucchero. Quando saranno sbiancati e ben montati unisci le mandorle, la scorza di limone grattata e un po’ alla volta la farina setacciata.
Per ultimo monta le chiare a neve e, con un movimento rotatorio dal basso verso l’alto, uniscile all’impasto in due volte, procedendo con cautela.
Prepara una tortiera e riempila con l’impasto; cuoci in forno a temperatura moderata per una trentina di minuti. Comunque verifica la cottura con la vecchia tecnica dello stecchino: quando esce asciutto significa che è cotta.
Sfornala e lascia evaporare l’umidità, adagiandola a riposare su una gratella.
Attenzione
Un poco di lievito per dolci ti aiuterà nella preparazione.
Consiglio
Accompagna con un vino che nelle nostre zone chiamano ‘Santo’ e che sia non troppo secco e sia servito fresco.
Interessato a realizzare sane e genuine ricette con le uova del tuo pollaio?
A parte tutte le idee sfiziose (e anche a volte insolite) che vi suggeriamo ogni settimana, queste a seguire sono le preparazioni con le uova più famose e cliccate sul web.
A voi la sfida di confrontarvi con ognuna di loro, facendo attenzione che per raggiungere la perfezione, anche quella in apparenza più semplice può in realtà nascondere diverse insidie:
Quando vanterete ottimi risultati in ognuna di queste 12 TOP ricette con le uova (che vanno dal primo al secondo, per finire con il dolce), potrete davvero definirvi degli Egg Chef stellati, in grado di servire un intero pranzo (o cena) a base di uova, un vero superfood che ci accompagna in tavola da migliaia di anni.
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