La vista è il senso più sviluppato delle galline ed è altamente performante (ma anche il senso dell’udito riserva delle belle sorprese).
L’inclinazione della testa che in questi avicoli accompagna l’atto di osservare qualcosa è assolutamente particolare e, in un certo qual modo, esprime in modo chiaro il loro interesse/curiosità verso ciò che stanno fissando.
Ma da qui in poi scaturiscono naturalmente, uno dopo l’altro, tanti interrogativi relativi alla vista delle nostre cocche: Come vedono le galline? Che cosa vedono? Perché muovono la testa in quel modo? Riescono a vedere di notte? E sono in grado di distinguere il giorno dalla notte anche se cieche?
Tutte domande interessantissime a cui cercheremo di dare una risposta nel proseguo dell’articolo.
Il meccanismo della vista delle galline è identico al nostro: la luce entra attraverso la cornea e l’iride e arriva a stimolare le terminazioni nervose nella retina, nella parte posteriore del bulbo oculare.
A differenza della nostra vista cromatica “a tre colori” (rosso, verde e blu – RGB), gli occhi delle galline sono tetra-cromatici in quanto dotati di 4 tipi di coni (fotorecettori) che permettono loro di vedere, oltre alla luce rossa, blu, verde, anche la luce ultravioletta (RGB + UV). Pertanto, vedono molti più colori e sfumature di noi; la loro vista è dotata di maggiore contrasto, luminosità e sensibilità.
Una chioccia, ad esempio, può utilizzare i suoi coni UV per avere alcune informazioni sullo stato di salute dei suoi pulcini: infatti, dal momento che le penne in crescita riflettono la luce UV, se in alcuni piccoli questo fenomeno non avviene, significa che c’è qualche problema in corso. Inoltre, può determinare quali siano i pulcini che stanno crescendo più rapidamente, e quindi dedicare loro più energie per assicurarsi che riescano a sopravvivere.
Gli occhi delle galline sono molto grandi; costituiscono circa il 10% di tutta la massa della testa (rapportandolo alla struttura testa-occhi umani, sono 25 volte più grandi degli occhi umani).
Il movimento della testa che accompagna il posizionamento dello sguardo su un particolare punto di attenzione è semplicemente dovuto ad una ridotta mobilità muscolare dell’occhio.
Nelle galline, gli occhi sono collocati sui due lati della testa; questo tipo di disposizione determina una vista monoculare a 300° (i cavalli arrivano addirittura ad un campo visivo di 350°) ma da una scarsa percezione della profondità (che si traduce in una difficoltà di stima delle distanze).
Grazie però a questa disposizione, ciascun occhio può essere utilizzato anche indipendentemente dell’altro, per osservare contemporaneamente oggetti/scenari diversi (ad esempio, mentre con un occhio fissa un oggetto a terra, con l’altro può tenere sotto controllo il cielo per assicurarsi che non vi siano pericoli/predatori provenienti dall’alto).
Gli occhi frontali dell’essere umano danno origine ad una visione binoculare, con un campo visivo di 180°.
Nella gallina (e negli uccelli in genere) le caratteristiche dell’area della retina denominata macula (un’area della retina la cui risoluzione è più alta rispetto alle altre regioni) sono tali da conferire un’ottima acuità visiva e quindi la capacità di discriminare due oggetti come due oggetti separati (negli uccelli l’acuità visiva e 2/3 volte superiore a quella umana; invece, cani e gatti hanno un’acuità inferiore alla nostra).
Le galline (come altri uccelli) hanno due fovee:
La seconda fovea viene usata per mettere a fuoco i dettagli anche nella visione periferica.
Come molte specie animali, anche le galline hanno la terza palpebra (plica semilunaris o nictitating membrane), che scorre orizzontalmente sopra l’occhio per proteggerlo da polvere e detriti ed è quella che si chiude per prima quando l’occhio viene chiuso durante i momenti di rilassamento o durante il sonno.
Un ulteriore doppio cono aggiuntivo consente alle galline di effettuare un’eccezionale tracciatura dei movimenti (funzionale per individuare con esattezza piccoli insetti in volo o i movimenti di eventuali predatori in agguato).
I loro occhi sono così sensibili che possono vedere piccole fluttuazioni della luce impercettibili per gli umani; per le galline le lampade fluorescenti sono come luci stroboscopiche per noi, e quindi spesso diventano irritabili in presenza di queste luci che percepiscono come noi percepiamo uno sfarfallio fastidioso.
Attraverso l’epifisi (chiamata, per la sua forma simile a quella di una pigna, anche ghiandola pineale), presente nella testa, le galline possono percepire la presenza o l’assenza di luce e quindi, anche una gallina completamente cieca potrebbe ancora essere in grado di distinguere il giorno dalla notte. Lo spessore estremamente sottile del cranio riesce a far filtrare la luce fino ad essere percepita dalla ghiandola pineale; ricordiamoci che il ciclo di deposizione delle uova è connesso all’apparato endocrino attraverso l’asse ipotalamo-ipofisario e che è sensibile alla luce.
Nella tradizione esoterica l’epifisi è abbinata al terzo occhio, ossia alla percezione extrasensoriale, alla visione di “dimensioni” normalmente invisibili.
Le galline (e tutti gli uccelli in genere) hanno una terribile vista notturna e certamente questo è dovuto al fatto che non hanno avuto la necessità, durante l’evoluzione, di fare vita notturna e dunque di “guardarsi attorno” nel buio per sfuggire ai predatori.
E’ proprio la vista notturna così poco sviluppata a rendere in un certo senso le galline bisognose della protezione di un pollaio durante la notte; in un certo senso questa loro carenza le ha rese bisognose dell’uomo e le ha fatte divenire animali domestici (gallus gallus domesticus).
Alle galline avrebbe certamente fatto comodo poter avere anche recettori sulle frequenze dell’infrarosso; ma né gli uccelli né i mammiferi possono “vedere” a infrarossi (i serpenti hanno fossette sensibili sulle loro teste che li aiutano a trovare creature a sangue caldo rilevando radiazioni di calore a infrarossi).
La visione notturna si basa su fotorecettori della retina sensibili alla luce chiamati aste, mentre la visione diurna si basa su recettori chiamati coni.
Di conseguenza ne deriva che gli uccelli, in parallelo ad uno sviluppo ridotto di aste, hanno sviluppato più tipi di coni per la vista diurna rispetto ai mammiferi.
“Sulla base di questa analisi, gli uccelli ci hanno chiaramente rafforzato in diversi modi in termini di visione dei colori”, ha detto l’autore dello studio Dr. Joseph C. Corbo della Washington University School of Medicine di St. Louis, nel Missouri; “la retina delle galline supera di gran lunga quella osservata nella maggior parte delle altre retine e certamente quella nella maggior parte delle retine di mammiferi.”
Corbo ipotizza che una maggiore sensibilità al colore possa aiutare le galline e gli uccelli in genere nell’accoppiamento (in molti uccelli a questo serve l’esibizione di un piumaggio colorato) o a nutrirsi di bacche o di altri frutti colorati.
All’interno degli occhi delle galline è stato scoperto un nuovo stato della materia consistente in una disposizione delle particelle mai scoperta altrove: viene chiamata “iperuniformità disordinata” e permette alla materia di esistere contemporaneamente sia come cristallo sia come liquido.
Questa scoperta potrebbe introdurre importanti innovazioni nella progettazione di materiali hi-tec in grado di possedere le capacità di trasmissione della luce tipiche di un cristallo e la flessibilità di un liquido.
Questa disposizione dei recettori in “mosaici intrecciati secondo un certo criterio” massimizza la capacità delle galline di vedere le lunghezze d’onda di tutti e 4 i loro fotorecettori in ogni parte della retina; per farla molto breve possiamo dire che le galline hanno un occhio eccezionalmente ben organizzato.
Salvatore Torquato, ricercatore presso la Washington University di St. Louis, ha seguito queste ricerche e riferisce: “Abbiamo scoperto che questi sistemi fisici sono dotati di proprietà fisiche esotiche, e quindi anche di capacità nuove. Più impariamo su questi sistemi disordinati speciali, più scopriamo che dovremmo considerarli uno stato di materia distinto.”
L’iperuniformità disordinata consiste nell’organizzazione spaziale di alcune particelle dei 4 fotorecettori, che non si dispongono in base ad una distribuzione regolare, ma che rappresenta comunque il massimo di uniformità possibile, date le limitazioni del tessuto cellulare in cui essi si trovano.
I 4 fotorecettori (viola, blu, verde e rosso) e il quinto fotorecettore (per la rilevazione della luce e del movimento) sono tutti e cinque schiacciati insieme in un sottile strato presente sulla retina; con l’iperuniformità disordinata l’evoluzione naturale sembra aver trovato la soluzione più efficace per organizzare questi 5 diversi elementi.
Salvatore Torquato riferisce: “Dato che i coni sono di dimensioni differenti, non è facile per il sistema passare allo stato di cristallo o ad uno stato di materia ordinato. Il sistema non riesce a trovare quella che potrebbe essere la soluzione ottimale, ossia la tipica disposizione ordinata. Lo schema dev’essere disordinato, ma allo stesso tempo deve anche rimanere il più uniforme possibile. E’ così che sorge l’iperuniformità disordinata, che è una soluzione eccellente.”
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