Viviamo nell’era dell’immagine e della “filosofia del packaging” ed è in questo ambito che quattro studentesse (Francesca Zuccolo, Greta Titton, Arianna Roi e Aurora Gobessi) del corso di laurea in “Scienze e tecnologie alimentari” dell’Università degli Studi di Udine, hanno brevettato un prodotto destinato ad una futura commercializzazione: l’uovo sodo vegano.
La “filosofia del packaging” consiste nel creare una confezione funzionale al tipo di prodotto che dovrà stimolare il consumatore all’acquisto; in alcuni casi è il prodotto stesso che assume le sembianze di un altro prodotto (solitamente più noto) con lo scopo di diventare maggiormente appetibile; rispondono ad esempio a questa strategia (anche se in un campo diverso da quello alimentare) oggetti di design che ormai sono oggetti abituali di uso e consumo, quali ad esempio porta-cellulari dalle sembianze di cioccolato, piccoli asciugamani a forma di pasticcini o chiavette USB che sono piccoli coni gelato.
Una delle regole base del packaging è l’analisi di quanto già esiste sul mercato per evitare somiglianze e confusioni con prodotti concorrenti; in tal caso questa regola è stata completamente (e volutamente) ribaltata, ottenendo in breve tempo il fatto di essere al centro di attenzioni e polemiche, e quindi già un certo successo (dunque un’operazione di marketing ben riuscita!).
Il prodotto concorrente oggetto di sfida è in questo caso l’uovo, quindi una sfida ad altissimo livello, dal momento che chiama in causa uno degli alimenti che da sempre accompagnano l’uomo e la sua alimentazione, in particolare la sua sembianza in una delle sue ricette più classiche e diffuse: l’uovo sodo.
Il target di mercato è sicuramente il mondo vegano, ma anche il mondo degli onnivori più curiosi e disposti a sperimentare, ovvero coloro che nel cibo ricercano almeno queste quattro qualità fondamentali:
L’uovo sodo vegano è il centesimo brevetto dell’ateneo friulano; contiene ingredienti di origine naturale e vegetale, per lo più proteici, tra cui: farine di diversi legumi, oli vegetali, un gelificante e un sale speciale.
Ne è prevista la distribuzione come prodotto refrigerato pronto al consumo – da mangiare in insalata o in abbinamento a diverse salse – ideale ovviamente per le persone che seguono una dieta vegana.
Le quattro ragazze raccontano che “sono state necessarie numerosissime prove per riuscire a ottenere la formulazione ottimale in termini di consistenza e gusto del prodotto finito”.
Infatti, il tempo impiegato per ottenere le sembianze e le caratteristiche organolettiche desiderate è stato di circa un anno e mezzo. L’uovo sodo vegano è stato annunciato a metà Settembre 2017, per poi essere presentato in tempi brevi alle aziende del mercato potenzialmente interessato.
Con una piccola (grande) manchevolezza.
E il guscio? Non c’è. “Abbiamo provato a lungo a ricrearlo, ma non veniva come lo volevamo quindi abbiamo abbandonato l’idea.”
«Il settore di interesse è l’industria alimentare, in particolare le aziende che producono già prodotti destinati a consumatori vegani o alimenti funzionali. Vendibile in negozi alimentari biologici, vegetariani e vegani, ma anche in qualsiasi supermercato, vista la sempre crescente richiesta di prodotti di questo tipo da parte dei consumatori.»
«Il raggiungimento del centesimo brevetto – commenta con soddisfazione Antonio Abramo, delegato ai brevetti – è un traguardo importante per un ateneo giovane come il nostro, che è tra i più attivi in questo settore.
Questo brevetto, in particolare, ci rende particolarmente orgogliosi perché frutto della fantasia inventiva di quattro giovani studentesse nell’ambito di un percorso didattico che ha permesso di mettere in pratica la capacità imprenditoriale che hanno gli studenti.
E non poteva esserci nulla di meglio di un uovo, con tutti i suoi significati simbolici, per riassumere e rappresentare questo traguardo.»
E’ ovvio che l’uovo sodo vegano ha solo la forma e le sembianze cromatiche di un uovo sodo vero, e non possiede alcuna delle proprietà nutritive dell’originale.
Nel lancio del prodotto si evidenzia l’assenza di colesterolo (anche se ormai è noto che un consumo equilibrato di uova non ha alcun impatto negativo anche su persone con problemi di colesterolo alto), senza ovviamente fare menzione del fatto che in realtà mancano tutte le importanti proteine presenti del tuorlo e dell’albume: livetina, fosfovitina, llipovitelline HDL, lipoproteine a bassa densità LDL, ovalbumina, ovotransferrina, conalbumina, ovomucina, lisozima, ecc.
Così come nessuno crede veramente che esistano mucche viola che producono latte al cioccolato, allo stesso modo nessuno può veramente scambiare un uovo vero con questo “surrogato vegano”, eppure Coldiretti ha lanciato comunque un grido di allarme sull’uso improprio della denominazione in cui compare la parola “uovo”, in quanto ritenuta ingannevole e capace di creare confusione nei consumatori.
Che la potenza del packaging e del marketing riesca in realtà a scalfire anche le certezze più… assodate?
Forse non è un fatto del tutto da escludere.
Coldiretti, com’era già avvenuto per il latte vegetale, non ci sta a vedere spacciate per uova di gallina dei succedanei a base di legumi e sostanze varie, e chiede a gran voce di vietare l’utilizzo del termine “uovo” per prodotti di tutt’altro genere e che potrebbero trarre in inganno i consumatori; per chiedere ciò, Coldiretti ricorre a un Pronunciamento della Corte di Giustizia Europea secondo cui “i prodotti puramente vegetali non possono essere commercializzati con denominazioni che il diritto della UE riserva ai prodotti di origine animale”.
Un divieto, aggiunge ancora Coldiretti, che “vale anche quando le denominazioni siano completate da descrizioni che indicano l’origine vegetale del prodotto; e quindi, ben venga questo nuovo prodotto vegetale, per soddisfare gli etici e bio-sostenibili palati vegani, ma non chiamatelo uovo, per favore.”
L’eccellenza dell’uovo-non-uovo, l’unico vero e inimitabile, rimane sempre lui, l’uovo di Pasqua… oggi un “classico” al cioccolato (in versione anche vegana) con la sorpresa dentro, che deriva però da tradizioni antiche, tempi lontani in cui era usanza scambiarsi in dono un “semplice” uovo, simbolo del rifiorire della Natura, della rinascita della vita e come auspicio di fecondità.
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