L’intenzione di Nicola Congdon e di sua madre Ann è quella di sensibilizzare tutti sul trattamento delle galline negli allevamenti in batteria: “E’ importante rendere le persone consapevoli delle pessime condizioni in cui vivono le galline in batteria e di come sono ridotte ‘quando vanno in pensione’”.
Nicola ha 25 anni e vive a Falmouth (Cornovaglia) e ora ha un pollaio di circa 60 galline, di queste 30 sono state adottate “a fine ciclo produttivo”, dopo essere state allevate in allevamenti in batteria.
L’idea dei maglioncini dai colori vivaci nasce dal desiderio di mettere al caldo le parti del corpo rovinate dalle gabbie (spesso completamente prive di piume); le galline così adottate quando arrivano al pollaio di Nicola sono in pessime condizioni; per aiutarle ad acclimatarsi al freddo dell’autunno e dell’inverno della Cornovaglia ha deciso quindi di vestire le sue amiche-pennute realizzando degli appositi maglioncini.
Oltre ad avere il piumaggio rovinato dalla vita in gabbia queste galline hanno anche un piumaggio molto meno sviluppato del normale, dato che hanno vissuto ad una temperatura mantenuta costante notte e giorno e di stagione in stagione.
Nicola dichiara: “Le galline non si fanno alcun problema ad indossare i maglioncini, stanno lì e fanno tutto quello che sono solite fare, come farebbe una qualsiasi gallina”.
Nicola e sua madre, Ann, hanno iniziato a lavorare a maglia non solo per le loro 30 galline adottate, ma anche per distribuire questi maglioncini a chiunque voglia fargliene richiesta.
I maglioncini sono multicolore (e aiutano ad identificare meglio le amiche-pennute) e hanno una forma a canotta per non impedire e disturbare in alcun modo il movimento delle ali.
A dimostrazione del grande sostegno ricevuto per questa iniziativa, le richieste per un maglioncino sono arrivate da tutto il mondo. Per ogni donazione, Nicola invia un maglioncino al donatore e inoltra la donazione in beneficenza ad un orfanotrofio (di bambini orfani a causa dell’AIDS) in Sud Africa (Duncan Village AIDS Orphanage).
Il problema denunciato da questa iniziativa esiste anche in Italia. La Direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 1999/74/CE ha imposto, dal 1° gennaio 2012, la modifica delle gabbie di batteria convenzionali.
In base a questa Direttiva le gabbie devono prevedere almeno 750 cm² di superficie a disposizione di ciascuna gallina, un nido, lettiera, posatoi e dispositivi per accorciare le unghie in modo da soddisfare i loro bisogni biologici e comportamentali. Nonostante 14 anni di tempo avuti a disposizione per mettersi in regola con la normativa europea, molti allevatori lamentano difficoltà economiche per procedere all’adeguamento delle gabbie. Ciò ha causato in poco più di un anno l’apertura di ben due procedure di infrazione da parte della Commissione europea a carico dell’Italia.
In Italia, come più volte denunciato dalla LAV (Lega Anti Vivisezione) “l’80% delle galline ovaiole vive in gabbie di batteria, che lasciano loro pochissimo spazio per muoversi, incolonnate in file che arrivano anche a sei piani, in cui residui di mangimi e escrementi franano sui piani inferiori e sugli animali imprigionati”.
La denuncia evidenzia come “circa 39 milioni di galline soffrono per danni psicologici – la reclusione le rende aggressive, spesso addirittura cannibali, al punto che è necessario tagliare loro il becco per evitare fenomeni di pica – e danni fisici – dall’osteoporosi alla frattura delle ossa, dalla deformazione degli arti alla crescita incontrollata delle unghie, tanto da girarsi intorno alle gabbie”.
L’ultima denuncia della LAV è di Ottobre 2015 e sul sito della LAV sono costantemente mantenuti aggiornati dettagliati dossier sul tema degli allevamenti da batteria di galline ovaiole (alla situazione delle galline ovaiole si affianca quella dei broiler, i polli da carne, selezionati geneticamente per anni perché sviluppassero esageratamente il petto).
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