Circolava nelle scuole dell’Italia prebellica un’edificante filastrocca per fanciulli che ha radici nei severi insegnamenti dei Padri della Chiesa, quali Ambrogio (Ad galli cantum) e Prudenzio (Cathemerinon):
Il galletto mattiniero
s’alza appena spunta il dì
e cantando dritto e altero
al fanciul dice così:
“fuor dal letto, poltroncino,
la lezion se non saprai,
tal e qual come un ciuchino
ignorante resterai”.
Il fanciul, che ha capito,
fuor dal letto pronto è già
e vestito e ben pulito
alla scuola allegro va.
Nella teologia cattolica, infatti, l’invito all’operosità mattutina consuona con gli insegnamenti di Dio: tenersi lontano dalle coltri, avviarsi al retto agire e vigilare sono i doveri del buon cristiano che rifugge la pigrizia del maligno. Luigi Pirandello riporta di questa poesiola una felice ed ironica parafrasi nella parte finale della sua Sveglia (1910):
Giù, nel cortile, ostinasi un galletto
nel suo verso arrochito,
– Zitto, signor Dovere, ho già capito:
È ora, è ora di lasciare il letto.
Non tutti furono sempre d’accordo con i moniti del severo volatile: si sa che Luciano di Samosata fa iniziare il suo dialogo Somnium sive Gallus con l’ira del ciabattino Micillo, il quale, tirato giù dal letto da un gallo-filosofo (nientemeno che Pitagora reincarnato!), certa di farlo tacere a bastonate.
Anche l’Anthologia Palatina conserva alcuni testi che mettono il gallo (ἀλεκτρυών) in una luce a dir poco negativa. Un tema molto diffuso riguarda l’interruzione del sonno degli amanti, come in un epigramma di Meleagro di Gadara (I sec. d.C.):
XII 137
‘Tu che canti all’alba, nemico dell’amore, messaggero di mali, ora, tre volte maledetto,
gridi di notte un canto che squassa il fianco;
fiero sul [mio] letto, quando mi è rimasto poco della notte
per amare i fanciulli, ridi soavemente dei miei dolori.
Questa è la bella riconoscenza verso chi ti alleva? Per l’alba profonda,
canterai questi canti amari per l’ultima volta!’.
Nella stessa raccolta Antipatro di Tessalonica, vissuto al tempo di Augusto, ci ha lasciato due testi davvero critici nei confronti del superbo volatile:
V 3
‘L’alba è giunta, Crisilla, e da un pezzo il gallo mattutino,
facendo da araldo, conduce l’invidiosa Erigenia.
Possa tu andare a quel paese, il più invidioso fra gli uccelli, che mi spingi
da casa alle molte chiacchiere dei giovanotti!
Invecchi, o Titono: perché la tua compagna Aurora
l’hai scacciata dal letto così presto al mattino?’.
IX 418
‘Trattenete la mano dalla mola, macinatrici, dormite a lungo
anche se la voce dei galli annuncia l’aurora!
Deò infatti ha imposto alle ninfe le fatiche delle [vostre] mani;
quelle, saltando sulla sommità della ruota,
fanno girare l’asse. Esso, con i raggi rotanti,
volge i concavi pesi delle mole di Nisiro.
Godiamo di nuovo di una vita primitiva, se senza fatica
impariamo a cibarci dei prodotti di Deò’.
Piuttosto diretto è l’attacco alle norme millenarie che magnificano l’attivismo dell’alba, il cui archetipo greco può considerarsi Esiodo in versi famosi delle Opere e i Giorni (574-581):
‘Fuggi i seggi ombrosi e il sonno mattutino
nel tempo di mietere, quando il sole dissecca la pelle.
Affrettati, allora, e a casa porta il frutto
alzandoti all’alba, affinché ti sia bastevole il vitto.
L’aurora infatti distribuisce la terza parte del lavoro;
l’aurora manda avanti il cammino; manda avanti anche il lavoro;
l’aurora, al suo apparire, spinge in strada
molti uomini e su molti buoi pone il giogo’.
Si vedono, nell’alba esiodea, le premesse di un’operosità che investe l’uomo e gli animali, che li getta verso la via e la vita. Gli epigrammi della Anthologia si pongono invece in tacito e polemico contraddittorio con tale quadretto, mostrando verso il risveglio precoce un’autentica avversione e odio contro il suo araldo, quel gallo invidioso del sonno e degli amori altrui. I primi due testi, simili alle cosiddette albe provenzali, affrontano il topos della notte troppo breve per gli amanti e sfociano in altrettante minacciose maledizioni rivolte agli uccelli disturbatori; nel terzo, invece, si auspica un ritorno all’età dell’oro: il gallo costringe ogni mattina le macinatrici ad alzarsi prestissimo per azionare la mola, ma fortunatamente la ruota del mulino svolge adesso il lavoro al loro posto e per questo l’uomo potrà gustare i frutti del grano senza fatica.
Tale epigramma, che è una delle prime testimonianze del mulino ad acqua nel mondo antico, ebbe una curiosa fortuna nella storia della filosofia, poiché giunse fino al Capitale di Karl Marx (vol. I,4,13.3b), che ne trasse una riflessione molto negativa sul rapporto tra l’uomo e la macchina:
‘E Antipatro … salutò l’invenzione del mulino ad acqua per la macinazione del grano, questa forma elementare di ogni macchinario produttivo, come liberatrice delle schiave e creatrice dell’età dell’oro. I pagani, sì, i pagani! … Non capivano che la macchina è il mezzo più efficace per prolungare la giornata lavorativa’.
I pagani dunque, cioè gli antichi Greci, non avrebbero previsto che l’invenzione salutata con tanto entusiasmo non sarebbe servita altro che a trasformare tutto il tempo della vita in tempo-lavoro al servizio del capitale, togliendo ogni limite allo sfruttamento dell’uomo.
Antipatro pensa che il mulino sconfigga il gallo e restituisca alle donne il sonno, il tempo e le forze; per Marx, al contrario, le macchine imporranno un lavoro a getto continuo: né il sorgere del sole né il verso squillante del suo araldo segneranno più alcun inizio.
La Redazione di TuttoSulleGalline.it ringrazia di cuore la ricercatrice Rosa Ronzitti dell’Università di Genova per aver gentilmente concesso al nostro sito di pubblicare questo suo approfondito e interessantissimo articolo sugli epigrammi dedicati al gallo nell’Anthologia Palatina.
Grazie Rosa, articolo interessantissimo e con molte opportunità Di riflessione.
Grazie mille a tutta la redazione
Grazie a te Giorgio per il tuo commento. Cogliamo l’occasione per ringraziare ancora Rosa per i suoi articoli. Un cordiale saluto e buona giornata.
Grazie a tutti voi per l’interesse.