Tra le tantissime razze avicole esistenti ci sono anche quelle denominate “combattenti” (tra cui il Combattente Indiano, il Vecchio Combattente Inglese e il Combattente Malese), allevate oggi come razze ornamentali nella maggior parte dei “paesi civilizzati”, dove il combattimento tra galli è vietato e dove talvolta gli esemplari si sono evoluti con caratteristiche non più idonee al combattimento.
La pratica del combattimento tra galli nasce dalla naturale propensione ad una maggiore aggressività di queste razze (tipica sia nei galli che nelle galline) e dalla avida crudeltà e mancanza di sensibilità dell’uomo.
Nell’antichità questa pratica (comunque crudele) ha talvolta assunto anche carattere rituale e religioso, ma si è poi trasformata in un gioco cruento a solo favore del guadagno derivante dalle scommesse.
Fortunatamente, la moderna sensibilità verso la vita degli animali, ha visto dichiarare, in alcuni paesi, la pratica del combattimento tra galli crudele e fuorilegge, già dalla prima metà del 1800.
La crudeltà di questa pratica sta sia nel fatto che il combattimento provoca nei galli ferite e traumi che spesso portano gli animali alla morte, sia nella metodologia di allevamento e addestramento impiegata, che condiziona fortemente sia l’indole sia la fisicità degli esemplari.
In molti casi i tarsi dei galli sono anche “armati” con speroni in acciaio (o in osso) molto taglienti, una barbarie che oggi, davvero, non dovrebbe più essere tollerata da alcun governo al mondo.
Combattimento tra galli: origini e storia
Le testimonianze storiche ci narrano dell’esistenza della pratica del combattimento tra galli già nell’antica Persia (4000 a.C.), tra le popolazioni della valle dell’Indo (3300 a.C.-1500 a.C.) e in India (1000 a.C.), dove nel “Codice di Manu” troviamo già la descrizione di combattimenti tra galli introdotti dai Maomettani e dove si narra della nascita del miglior combattente della storia, ovvero il “combattente del Re” (‘Rajah Murgh’) denominato per questa ragione ‘Aseel‘ (un un aggettivo di origine araba senza plurale che significa «purosangue, aristocratico, di alto lignaggio, puro, originale», da cui è poi derivato il termine Asyl o Asil, talvolta utilizzato nel linguaggio comune per denominare le razze di combattenti).
Secondo la Encyclopædia Britannica, il combattimento tra galli (斗鸡) era un’attività molto popolare anche nell’antica Cina e altri paese asiatici; era usanza far svolgere un gran numero di combattimenti tra galli nel periodo compreso tra il Qingming e il Solstizio d’Estate. Durante la dinastia Tang, i combattimenti di tra galli erano molto popolari sia tra i comuni civili che tra le famiglie di stirpe reale. Si racconta che l’imperatore Xuan Zong fosse un grande fan di questo “gioco”.
Il combattimento tra galli, ancora oggi popolare nelle comunità rurali, è stato per secoli il passatempo preferito degli antichi Khmer in Cambogia. La scultura raffigurante degli uomini e i loro galli in combattimento è scolpita nella pietra del tempio Bayon, a testimonianza delle profonda radicalizzazione di questa tradizione.
Anche in prossimità di Gerusalemme, durante gli scavi archeologici di Mizpah in Beniamino, è stata ritrovata un’immagine risalente al VI secolo a.C. ritraente un gallo da combattimento.
Il combattimento tra galli risulta che sia stato poi introdotto anche nell’Antica Grecia ai tempi di Temistocle (524 a.C.– 460 a.C.). Ad Atene, fin dal V secolo a.C. si tenevano spettacoli dove le coppie di galli che si affrontavano erano seguiti con passione e scommesse; le razze di Rodi e di Tanagra in particolare accendevano l’entusiasmo del pubblico per la loro spaventosa aggressività. Tali manifestazioni si diffusero perfino nella Roma Antica. Nei testi di Columella si evidenzia come ingenti patrimoni fossero sperperati nelle scommesse per i combattimenti tra galli.
Negli scavi di Pompei è stato ritrovato un mosaico raffigurante, oltre a due galli mentre combattono, anche un tavolo sul quale sono posti un caduceo, una palma e una scarsella con denaro, vinti da chi puntava sul gallo che non soccombeva.
Un altro mosaico, anch’esso pompeiano (sempre esposto al Museo Archeologico Nazionale di Napoli), raffigura un nano (o pigmeo) che porge una palma ad un gallo vittorioso mentre l’avversario, esanime e sconfitto, giace a terra.
Nonostante l’opposizione del clero cristiano, la pratica dei combattimenti tra galli si è poi diffusa in tutta Europa; divenne popolare nei Paesi Bassi, in Italia, Germania, Spagna e nelle sue colonie, e in tutta l’Inghilterra, il Galles e la Scozia.
Fu durante il viaggio di Magellano alla scoperta delle Filippine nel 1521 che il “moderno” combattimento di galli fu visto e documentato per la prima volta da Antonio Pigafetta (il cronista di Magellano).
In seguito si diffuse verso il nord europa e tra il XVI ed il XIX secolo divenne uno degli spettacoli più di moda tra l’aristocrazia inglese. Ai tempi della Dinastia Tudor, il Palazzo di Westminster aveva un proprio “gallodromo di corte”.
In Inghilterra lo “sport” antico del combattimento tra galli era considerato un diversivo da signori rispettabili, e raggiunse il suo zenit di popolarità a metà del XVIII secolo, con sfide tenute regolarmente in quasi tutte le città, così come le corse di cavalli. La conoscenza e il gusto per l’armamento dei galli erano caratteristiche essenziali di ogni gentiluomo che desiderasse essere chiamato sportivo.
Il primo uso documentato della parola “gamecock”, che caratterizza il combattimento tra galli come come “gioco”, sport, passatempo o intrattenimento, risale al 1634 e fu usato da George Wilson, nel primo libro pubblicato sullo “sport” del combattimento tra galli (“The Commendation of Cocks and Cock Fighting”).
Il termine “cockpit” (pozzetto), che è l’area di svolgimento del combattimento, ha poi acquisito il significato di “area di intrattenimento” e di “area in cui si svolge un’attività frenetica”; William Shakespeare usò il termine “cockpit” in “Enrico V” per indicare l’area attorno al palcoscenico di un teatro.
Dall’Inghilterra, i britannici esportarono i combattimenti tra galli anche nelle colonie americane e fu a partire da lì che si diffusero poi nell’intero continente.
Oggi, laddove questa pratica è ancora consentita, il combattimento tra galli è gestito come un incontro di pugilato con scommesse. I due galli sono messi di fronte nel “ring” di combattimento, armati con speroni corti di circa 4 cm o più lunghi da 5 a 6 cm e la sfida è condotta da un arbitro/giudice.
Ancora oggi, in alcuni paesi i galli sono autorizzati a combattere fino a quando uno dei due non soccombe, ma spesso sono rispettate regole che permettono in qualsiasi momento il ritiro di un gallo gravemente ferito. In alcuni casi le regole del combattimento fissano un limite di tempo per ogni round. In tutti i casi la decisione dell’arbitro/giudice è la legge assoluta, anche per quanto riguarda la conduzione delle scommesse.
Leggi che proibiscono il combattimento tra galli
Alla metà del XIX secolo furono emanate le prime leggi che proibivano il combattimento tra galli negli Stati Uniti (Massachusetts, 1836) e nel 1949 nel Regno Unito, patria originaria della razza Combattente Indiano; purtroppo però, anche dopo l’emanazione di queste leggi, i combattimenti sono rimasti clandestinamente attivi per lungo tempo.
Il combattimento tra galli oggi è sempre consentito in Nicaragua, Venezuela, Colombia, Ecuador, Francia, Messico, Repubblica Dominicana, Filippine, Perù, Panama, Porto Rico, Spagna (ma solo in Andalusia e Canarie), Saipan e Guam; in questi paesi ancora esistono i gallodromi.
Fatte poche eccezioni (ad esempio nelle spagnole Andalusia e Canarie), il combattimento tra galli è di fatto vietato in tutta Europa.
In Italia il combattimento tra galli è stato vietato con la Legge n. 189/2004 (“Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”); la legge prevede la reclusione per chiunque organizzi o promuova spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali, nonché per chi cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche.
Nei paesi in cui ancora il combattimento tra galli non è stato dichiarato fuorilegge, al fine di perpetuarne lo svolgimento, viene spesso utilizzata la motivazione di conservazione della tradizione culturale, talvolta ammantandolo ancora di una valenza religiosa.
L’antropologo Clifford Geertz nel suo libro “The Interpretation of Cultures” dedica uno specifico saggio al combattimento tra galli a Bali: “Deep Play: Notes on the Balinese Cockfight”, dove affronta il significato di tali combattimenti nella cultura balinese.
Geertz svolse il suo lavoro sul campo di etnologo intorno al 1950, quando i combattimenti tra galli erano già illegali in Indonesia (l’esperienza autobiografica di nascondersi dalla polizia nel cortile di una coppia locale per sfuggire ad una retata della polizia che interruppe il combattimento, gli permise di superare la diffidenza degli abitanti del villaggio nei suoi confronti, e di svolgere così tutte le interviste e le osservazioni annotate nel suo saggio).
Tra le sue varie annotazioni, Geertz identifica nei galli da combattimento un simbolo di riconoscimento della virilità degli uomini più forti e potenti nei villaggi (in tal senso Geertz fa notare come la parola inglese e balinese “gallo”, in entrambe le lingue, porti con sé il doppio senso di gallo e di organo sessuale maschile: “cock” in inglese e “กระดอ” (kraddx) in balinese). Il saggio descrive i rituali delle scommesse e conclude che il combattimento tra galli, nell’antichità, ha rappresentato la rete di relazioni sociali che governavano la vita tradizionale balinese.
La speranza è che la moderna sensibilità superi queste obsolete motivazioni proibendone lo svolgimento ovunque nel mondo a titolo definitivo. Incredibile come ancora oggi l’armamento dei tarsi con speroni metallici taglienti non sia stato dichiarato unanimamente illegale.